giovedì 25 gennaio 2007

problematiche con una forza lavoro multietnica

Altro aspetto importante nel campo della comunicazione interculturale in azienda è ovviamente quello della gestione di una forza lavoro multietnica. Il problema ancora poco diffuso in Italia è molto più sentito in paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Australia ad esempio. Alcune multinazionali hanno adottato specifiche politiche “di quote” al fine di evitare di essere accusate di atteggiamenti discriminatori sul versante razziale. Queste grandi aziende sono molto attente ad offrire pari opportunità di lavoro e carriera ai vari gruppi etnici ed alcune fanno dell’etereogeneità della propria forza lavoro un vanto e uno strumento di marketing. In queste aziende si solito il management cerca di attenersi ad un comportamento politically correct molto più che da noi anche riguardo le discriminazioni di genere. Atteggiamento non così imitato ancora in Italia dove il grosso del tessuto produttivo è costituito da piccole e medie imprese, le quali di solito non hanno politiche specifiche in merito. Tuttavia un primo tentativo di affrontare la questione è da notarsi soprattutto nelle aree produttive del nord-est le quali attraggono folte schiere di immigrati. A tal proposito già nel 1999 un progetto dell’Unione Industriali di Padova istituiva un corso di formazione per stranieri ad alta scolarizzazione di “manager dell’integrazione”[1], una nuova figura professionale di supporto all’imprenditore italiano sia nella fase di reclutamento che di integrazione dei lavoratori stranieri. Resta il fatto che, a prescindere dalla latitudine, gestire una forza lavoro multietnica è senza dubbio più complicato per un responsabile delle Risorse Umane che una culturalmente omogenea. Aiuta il fatto che di solito i lavoratori di altre etnie sono emigranti e tendono, (anche perché solitamente in posizione down rispetto al datore di lavoro) a dimostrare almeno sul posto di lavoro volontà di integrazione culturale. In questo processo sono sostenuti nel nostro paese da una attenzione crescente dei sindacati i quali si sono attrezzati con mediatori culturali e svolgono attività di mediazione con le rappresentanze padronali per questo specifico segmento di lavoratori.
Siamo tuttavia ancora lontani nel nostro paese, salvo alcune eccezioni nel settore dell’impresa sociale con cooperative costituite da immigrati, a valutare l’aspetto della diversità culturale come fattore competitivo e non come problema. Il fenomeno immigratorio è di natura relativamente recente e non ha le proporzioni assunte in altri paesi europei come la Germania[2], l’Olanda e il Regno Unito. La questione è destinata a porsi comunque in futuro quando l’immissione della forza lavoro straniera non sarà più relegata a ruoli e settori poco qualificati e l’impatto degli immigrati di seconda generazione, maggiormente secolarizzati e integrati sarà più evidente.

[1] Vedasi in merito il sito dell’Unione Industriali di Padova: http://www.unindustria.pd.it/nordestimpresa/padovadb/news.nsf/0/6d53a106d84ab3fac1256802002da2a8?OpenDocument
[2] in Germania ad esempio l’impatto dei lavoratori stranieri è tale che l’elenco telefonico on-line è anche in turco. Si veda il sito http://www.telefonbuch.de

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