giovedì 25 gennaio 2007

la linguistica e l’intercultura

Di notevole consistenza scientifica è il lavoro di P. Balboni[1] che concorda con Hofstede confermando che una persona che interagisce con una straniero in una lingua non propria sul piano concettuale, continua a pensare secondo le proprie regole e categorie culturali. Sul piano comunicativo, assume la grammatica e il lessico della lingua franca ma conserva i propri codici extra-linguistici: gestualità, distanza interpersonale, simboli di status e di gerarchia, ecc., che vengono percepiti come universali, mentre cambiano in ogni cultura. La lingua non è solo pronuncia, lessico e grammatica, ma è una realtà ben più complessa e legata a fattori culturali, per cui un gesto o un vestito possono contraddire quanto detto dalla lingua, possono deviare l’attenzione dell’interlocutore da quello che viene detto al modo in cui lo si dice, possono creare momenti di tensione e anche errori irreparabili.
Il linguista affronta tutto un ventaglio di situazioni che riguardano sia la comunicazione verbale che quella non verbale di cui si ampiamente parlato sopra ma soprattutto espone le differenze culturali in ambito di costruzione del testo illustrandone tre tipi principali.
Il testo italiano, spagnolo, tedesco procede dal punto A al punto B non come una retta ma come una linea continuamente interrotta da digressioni, da ulteriori digressioni nella digressione, e così via: una linea spezzata che rende conto della complessità dell’argomentare che si vuole fare. L’informazione principale e tutte quelle accessorie (le digressioni) vengono incastonate l’una nell’altra, per cui ne risulta un testo, scritto o orale, complesso, articolato, con un forte uso di pronomi relativi e altri meccanismi di coesione tra le varie parti del testo; la struttura del verbo in queste lingue, con le sue sei persone, i molti modi e tempi, consente di raccordare le varie parti della macro-frase che si produce.
Il testo inglese va invece straight to the point[2]. Tutte le informazioni accessorie, che nel testo italiano erano collocate in frasi secondarie, in digressioni, qui vengono poste di seguito. Il testo si traduce quindi in una serie di frasi brevi e semplici, con forte uso delle ripetizioni (osteggiate in italiano). Il sistema verbale inglese, che è assolutamente scarno, funziona bene in questo tipo di strutture, ma non regge nel momento in cui si pensa in italiano e si vuole parlare in inglese: le digressioni, le frasi secondarie e terziarie, richiedono una logica verbale che l’inglese non possiede. Questo vale anche per la traduzione di un testo scritto italiano, che va spezzato nelle sue componenti e riscritto con frasi semplici e lineari.
Il testo asiatico e arabo procede invece a spirale, per progressivi avvicinamenti al punto d’arrivo, senza forzature (che vengono viste come unpolite), senza andare subito al punto (altra forma di unpoliteness). La percezione del testo prodotto secondo le regole di un’altra cultura è assai pericolosa: un americano ritiene inconsapevolmente che il testo di un italiano o di un tedesco sia fumoso, che si voglia coprire a suon di digressioni qualche cosa di non chiaro. Viceversa, l’europeo ritiene che il testo americano sia povero concettualmente, banale, semplicistico. Entrambi, europei e americani, ritengono che il testo orientale sia una perdita di tempo, un’ectoplasmatica nebbia che non si sa cosa celi e dove porti. E si tratta di percezioni che mettono a rischio la buona riuscita della comunicazione. Su questo versante le riflessioni di Balboni sono illuminanti e indicano anche come alcuni concetti culturali siano collegati alla struttura morfosintattica di una lingua. Balboni fornisce importanti informazioni anche su come si può insegnare la comunicazione interculturale, campo in cui è assai esperto. Abbastanza scettico sia sulla formazione in aula che sull’uso di situazioni simulate propone un sistema di auto-apprendimento basato sull’osservazione e l’annotazione personale di alcuni parametri. Questi sono: il tempo, la gerarchia e il potere, la correttezza, lo status; l’uso del corpo, l’uso simbolico di oggetti e vestiti; la lingua. Il sistema seppur macchinoso e di non facile applicazione in ambiente aziendale ha il pregio di puntare non tanto sull’istruzione riguardo i contenuti quanto sull’apprendimento di un metodo di osservazione. Il metodo di Balboni pone al centro quindi l’esperienza personale dei soggetti in formazione, cosa che rappresenta il punto di partenza e di arrivo e che mira a rendere essenzialmente consapevoli delle differenze culturali facendone tesoro per comunicare efficacemente. L’approccio alla comunicazione interculturale è completamente opposto a quelli esposti precedentemente. Il suo punto di forza è quello di puntare sulla consapevolezza personale. A nostro avviso difatti uno dei maggiori ostacoli ad una efficace comunicazione interculturale è l’inconsapevolezza di differenze di carattere culturale. Quell’inconsapevolezza che fa credere che gli atteggiamenti della nostra cultura siano “adeguati” a una determinata situazione e quelli degli altri “inadeguati”, mentre sono semplicemente diversi.
[1] Balboni, P., Parole comuni culture diverse, Venezia 1999, cit. pp. 11-22, 50-82.

[2] diritto al punto

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