giovedì 25 gennaio 2007

Le tecniche di negoziazione interculturale

Su questo argomento sono stati scritti una mole di libri e trattati da parte di studiosi ed consulenti aziendali di molti paesi industrializzati. I vari approcci tuttavia differiscono notevolmente. Infatti, nell’elaborare tecniche di negoziazioni efficaci non si può che partire dalla propria cultura. Tra chi pone l’enfasi sulla razionalità e la correttezza formale (gli anglosassoni) e chi è abituato a valorizzare maggiormente le variabili relazionali ed emozionali (i latini) vi sono notevoli differenze che si riflettono sulle tecniche sviluppate e impiegate. Il consulente italiano Daniele Trevisani,[1] cerca di fornire una serie di metodi ed indicazioni molto precise basate essenzialmente sugli aspetti relazionali della trattativa e presenta una modalità molto interessante. Gli strumenti che Trevisani indica sono numerosi. Il primo consiste nel cercare con la controparte un common ground[2] semantico. Si cerca in questo modo di stabilire dei significati condivisi delle parole chiave della trattativa. Termini come “affare”, “contratto”, “vendita”, “collaborazione” hanno aloni semantici molto diversi da cultura a cultura. Affrontare questo passaggio preliminare può apparire pedante forse ma evita molti fraintendimenti dato che alcune parole sono difficilmente traducibili in altre lingue ed esprimono concetti che differiscono tra cultura e cultura. Trevisani assimila le culture a stati di coscienza e ritiene che questi possano essere consciamente modificati e controllati. Gli strumenti di base che indica sono :
empatia e ascolto attivo, dinamiche di ascolto multi-livello, ricerca della condivisione valoriale e di risultato, approccio sperimentale e role-playing[3], consapevolezze macro-culturali, analisi del contesto, piattaforme negoziali flessibili e linee d’azione adattive, consapevolezze micro-culturali, diagnosi del comunicatore, centratura emozionale e rimozione del rumore di fondo psicologico. Trevisani propone tecniche precise e sicuramente funzionali che ha ampiamente sperimentato nella sua carriera di consulente, l’unico appunto che si può rivolgere al suo strutturato metodo è che è molto complesso. Il suo approccio suggerisce di fatto la creazione di figure professionali formate ad hoc. Di contro il metodo suggerito da Ruth Lake nel suo lavoro,[4] indirizzato ai manager italiani, è di più facile approccio e applicazione anche se meno approfondito di quello di Trevisani. In quanto straniera conoscitrice della nostra cultura, la Lake, anch’ella consulente aziendale, sottolinea i maggiori punti critici dei manager italiani: l’esternazione delle emozioni e la difficoltà nel concedere la fiducia. Ci fornisce così un approccio basato su “come ci vedono gli altri” mettendo in guardia il manager italiano sugli errori più frequenti di comunicazione. Entrambe i metodi possono essere considerati validi e applicabili a seconda delle dimensioni e della cultura aziendale. Tuttavia essi hanno in comune la centralità del concetto di consapevolezza come chiave di volta di una comunicazione interculturale efficace.
[1] D. Trevisani, Negoziazione interculturale, Milano 2005, cit, pp. 1-167.
[2] Terreno comune.
[3] Tecnica di formazione che consiste nel simulare situazioni date col fine di illustrare ai partecipanti discenti una determinata dinamica .
[4] Lake, R., L’arte della negoziazione interculturale, Milano 2000, cit, pp. 1-86.

1 commento:

Anonimo ha detto...

grazie per la capacità dimostrata di capire a fondo il messaggio e le variabili che ho trattato
Daniele Trevisani