giovedì 25 gennaio 2007

il problema della lingua franca e della comunicazione verbale

In nessun altro contesto come nei rapporti economico-commerciali internazionali entrano in contatto persone di culture diverse, che si trovano a dover trattare problemi di interesse reciproco o comune e ad affrontare insieme compiti di problem-solving[1], sovente con una congrua posta in gioco. Le differenze interculturali che si manifestano nelle semplice conversazioni sono ancora più evidenti nelle conversazioni a carattere transazionale, quelle cioè volte a raggiungere uno scopo esterno rispetto allo scambio linguistico stesso, in questo secondo caso gli effetti di eventuali problemi di comunicazione di ordine interculturale sono molto più evidenti e tangibili (per es. nella mancata conclusione di un accordo commerciale).
Tutti sanno che la lingua franca attualmente più utilizzata è l’inglese. C’è da considerare però che, data l’estrema diffusione per ragioni di ordine storico, l’inglese non è lo stesso se parlato da un americano, un gallese, un australiano, un neozelandese, un indiano e via dicendo. Se sono frequenti fraintendimenti tra due persone di madre lingua di nazioni diverse è facile immaginare che anche un italiano che parli un perfetto inglese imparato a Londra possa incorrere in incomprensioni alle prese con un ingegnere informatico indiano quanto piuttosto con un dirigente californiano. Questo genere di problemi peraltro non sono tipici solo della lingua inglese ma anche dello spagnolo ad esempio che differisce notevolmente da Madrid, a Buenos Aires, a Città del Messico[2]. Tra i vari problemi di comunicazione interculturale quello derivante dall’uso della lingua franca è certamente tra i più palesi anche se spesso sottovalutato. I vari “inglesi” parlati nel mondo sono ovviamente influenzati, e sono l’espressione, dei vari retroterra nazionali. Ogni parlante nativo ha proprie inflessioni di pronuncia, frasi idiomatiche, modalità di saluto che differiscono a volte significativamente tra loro.
Molti madre lingua inglese spesso sottovalutano questo aspetto dando per scontato che a fronte di una comunanza linguistica ne esista anche una culturale. In paesi come l’India e il Sud Africa ad esempio si parla inglese ma la maggioranza della popolazione non è di origine europea.
L’altro aspetto importante da sottolineare riguardo i problemi di carattere linguistico è quello dei rapporti di forza nella discussione, a seconda della padronanza che ciascuno degli individui coinvolti ha della lingua in cui si parla. Vi è innanzi tutto il caso in cui la lingua utilizzata è per entrambe le controparti una lingua veicolare acquisita. La comunicazione avviene quindi in una sorta di “spazio intermedio”, ovvero in una sorta di “interlingua”, ma non per questo si è al riparo da problemi di comunicazione, essenzialmente perché per forza di cose lo spazio interculturale è solo parzialmente coincidente. Ognuno dei soggetti coinvolti proietta attraverso la lingua franca i propri schemi culturali.
A causa di questo, molto spesso, il comportamento dello straniero non coincide con le aspettative dell'interlocutore. Questa è la dinamica con cui si crea un “culture bump” (ossia uno scontro culturale). Infatti, i software of the mind[3], per utilizzare una metafora famosa nel campo degli studi interculturali, non sono né coincidenti né sempre commensurabili e danno luogo a copioni culturali sostanzialmente diversi, anche se l'entità delle differenze può non risultare immediatamente evidente. Questo aspetto, che è quello non palese delle problematiche di comunicazione interculturale verrà trattato ampiamente avanti.
Altro caso è quando uno dei due negoziatori utilizza per la trattativa la propria lingua madre, mentre l'altro deve ricorrere a una lingua straniera. Risulta allora indubbio che il primo, che usa strumenti di cui è perfettamente padrone, si trovi in una posizione di forza, non solo perché può contare su maggiore facilità ed efficacia nell'espressione e nella gestione retorica del testo, ma anche perché inevitabilmente, in termini culturali, il suo approccio alla comunicazione diventa dominante.
Tutto questo nel caso in cui si parli l’inglese. Intendiamo quello corretto e non la varietà pidginizzata[4] (ossia semplificata e piena di errori) usata comunemente non solo da turisti ma anche purtroppo anche da quadri aziendali, universitari e istituzionali. Di fatti pur parlando una lingua franca continuiamo a utilizzare gli schemi mentali e culturali consueti. Traduciamo letteralmente il nostro modo di pensare a volte ricalcando frasi idiomatiche e costrutti tipici che non hanno nessun senso nel “vero” inglese. Nelle conversazioni semplici come quella turistica questo genere di inglese di sopravvivenza funziona bene, le cose si complicano quando le relazioni si fanno complesse e le parole vengono “pesate” ad una ad una, come nel caso della contrattazione di un accordo commerciale. Se sono in gioco interessi rilevanti è preferibile dotarsi di un interprete piuttosto che rischiare di perdere o pregiudicare un accordo importante per l’azienda a causa del nostro inglese zoppicante.
Anche la lingua scritta non è esente da problematiche. Nei contratti può accadere che la stessa frase sia soggetta a una traduzione o a una interpretazione diversa da quella inizialmente voluta dal predisponente[5]. Per cui l’uso è quello di utilizzare due traduzioni del contratto (es. italiano e inglese) cosa che non diminuisce di certo l'incertezza sul contenuto dei rispettivi obblighi. Per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria valgono gli stessi problemi e avvertimenti. Anche usando una stessa lingua alcuni termini mutano di senso o sfumature da paese a paese.

[1] Risoluzione dei problemi.
[2] Ad esempio il termine coger che in Spagna significa “prendere” nel Messico centrale assume l’accezione volgare di copulare.
[3] Letteralmente tradotto: “programmi della mente”. In realtà Hofstede con questa frase indica tutti quegli schemi mentali propri della cultura nazionale di un soggetto che vengono dati per scontati e universalmente accettati da questo ma che in realtà non lo sono solo per l’interlocutore in quanto nella relazione la controparte porta con se i propri schemi culturali che spesso non coincidono.
[4] I Pidgin sono lingue fortemente semplificate nella struttura e nel vocabolario e derivano dalla mescolanza di idiomi di popolazioni differenti venuti a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali.
[5] Di questo argomento tratta un articolo sulla newsletter dell’ICE, Istituto Nazionale Commercio Estero, redatto da Kurkdjian, V. consultabile sul sito: http://www.ice.gov.it/formazione/newsletter/contratto.htm

Nessun commento: